Il mio nome è nessuno - L'Ulisse
Teatro Nuovo
Identità Teatrali
  • Produzione Sicilia Teatro
  • Antonio Panzuto
  • Cristina Da Rold
  • Dario Arcidiacono, Davide Summaria
  • Nevio Cavina
  • Alessio Pizzech


Mercoledì 11 novembre 2015 - h. 21.00

Sebastiano Lo Monaco

Il mio nome è nessuno - L'Ulisse

di Valerio Massimo Manfredi, adattamento e drammaturgia Francesco Niccolini
Sebastiano Lo Monaco, Maria Rosaria Carli, Turi Moricca, Carlo Calderone
 

Valerio Massimo Manfredi – scrittore, archeologo, topografo del mondo antico di fama internazionale – ha dedicato due romanzi a Ulisse: il primo racconta le gesta dell'eroe di Itaca dall'infanzia di Odysseo fino alla distruzione di Troia. Il secondo dalla partenza da Ilio dopo la fine tragica e vittoriosa della lunga guerra, fino all'arrivo a Itaca, dieci anni dopo, con la sanguinosa vendetta contro i principi che insidiano Penelope e occupano il suo palazzo.
È una materia così intensa, poetica, tragica e intrisa di sangue e dolore che invece di dar segni di invecchiamento, trova nuova linfa, dubbi e vigore nella prosa di Manfredi, che il regista Alessio Pizzech e il drammaturgo Francesco Niccolini (che già hanno lavorato insieme a Sebastiano Lo Monaco nel fortunatissimo “Dopo il silenzio”) hanno trasformato in materia teatrale: un lungo viaggio tra poesia, disperazione ed erotismo per attraversare la vita di un uomo, anche se quest'uomo ama farsi chiamare Nessuno.
Questo Ulisse non procede in linea retta: la sua strada è lunga e contorta, riparte dal suo ritorno a Itaca, dal primo incontro con Telemaco suo figlio. È a lui che racconterà – prima della grande vendetta – dieci anni di guerra e dieci di faticosissimo ritorno verso casa: come un reduce di guerra, l'ennesima guerra stupida inutile e aberrante del nostro mondo. Sebastiano Lo Monaco, con tutta la sua maestria e passione, dialoga con i molti fantasmi di questa storia, in particolare le donne e gli eroi che Odysseo ha incontrato sulla sua faticosissima strada. Perché molte sono le donne che ne hanno turbato la vita: Elena per prima, quindi Penelope, e poi Circe, Calypso, Nausicaa, Athena. Così come molti sono gli uomini che mai potrà dimenticare, uomini valorosi e disperati, consapevoli del loro destino di morte: Menelao, Aiace e, su tutti, Achille con l'amato Patroclo.
Il risultato sarà una lunga, intensissima narrazione con una voce principe, quella di Sebastiano Lo Monaco, e intorno tutti quei demoni – divinità, mostri, nemici, eroi,
vivi e morti, più tutti i ricordi – che ne hanno costellato il viaggio sterminato, descrivendone il destino immortale.
Una sinfonia dunque, un canto ricco di poesia, che – pur nel rispetto della tradizione aedica – troverà una forma drammaturgica originale, sorprendente, perché non sarà il furbo Ulisse senza limiti ad apparire allo spettatore, ma un uomo ancora più moderno, sopravvissuto a una guerra dove ha conosciuto la paura e l'orrore, provato da dieci anni di morte e naufragi, mancati ritorni e misteriosi sussurri del desiderio.
È evidente che in un contesto del genere, per Sebastiano Lo Monaco, nato a Floridia (Siracusa), è stato come rispondere a un richiamo: cresciuto e formatosi tra classicità ellenica e romana, perdutamente innamorato di Omero e dell'epica classica, si trova nella condizione ideale per affrontare Ulisse e il poema della sua vita, costruendo un grande cunto per il pubblico del teatro e – al tempo stesso – un eccellente strumento di divulgazione e conoscenza per il pubblico giovane e delle scuole superiori.


Passo dopo passo
note di drammaturgia di Francesco Niccolini
Il primo passo è stata una confessione. Prima di tutto perché mi serviva un motivo per far scaturire il racconto, per mettere il mio Ulisse/Lo Monaco nella necessità di raccontare. E poi per sottrarmi al rischio di celebrare un eroe e, peggio ancora, cedere alla retorica, alzando la voce e il tono. La cosa che più mi ha affascinato nei due romanzi di Valerio Massimo Manfredi è la dimensione dubbiosa e riflessiva del suo Ulisse: un uomo che attraversa vent'anni di violenze e impedimenti senza sentirsi il migliore né perseguitato più di qualunque altro uomo, sottoposto alla barbarie delle leggi degli dei e del fato. Anzi, in un certo senso è un privilegiato: vivo per miracolo, scaltro, intelligente, pronto a tutto, e al tempo stesso consapevole del suo disgusto, della sua vigliaccheria e delle sue improvvise paure. E fortunato: perché tra i sommersi e i salvati, lui rientra fra i secondi, con tutti i vantaggi (e i sensi di colpa) che ne conseguono.
Il secondo passo sono stati i fantasmi: sì, perché in questo lungo racconto (modulabile in mille modi, io ne ho solo scelto uno) non ci sono coprotagonisti, ma una infinità di fantasmi, visioni, ricordi e rimpianti. Persone cadute in battaglia, amate o tradite. Le facce si confondono, spesso sono identiche, addirittura le stesse: cambiano solo i travestimenti. Non sono in carne e ossa, ma fanno male, lancinanti come tutte le assenze e le persone perdute. O mai possedute.
Il terzo passo le armature, perché questo è un cimitero di armature. Perché siamo sul campo di battaglia davanti alle porte della città di Troia, e al tempo stesso sulla spiaggia di Itaca dopo l'ultimo naufragio che ha riportato Ulisse a casa, vent'anni dopo. Ma quella spiaggia dalle onde cristallizzate, sta per diventare la sanguinaria scena del massacro di corte, nella quale i principi usurpatori verrano sterminati. Pochi attori dunque, e molti personaggi: tanti quante le carcasse che su questa superba scena trovano posto.
Il quarto passo non poteva che essere, a questo punto. un teatrino dei pupi. Anzi, non un teatrino, ma qualcosa grande come il mondo: un super teatro dei pupi, dove Sebastiano Lo Monaco possa cantare la storia di Ulisse e gli attori, penetrando i corpi/armatura di tutti i fantasmi della sua vita, fargli da coro. Si gioca, si combatte, ci si spacca a metà, si cade, si muore. Si chiudono gli occhi. Fino a quando si vestirà la nuova armatura.

Mettere i miei pensieri e queste visioni a disposizione di Alessio Pizzech e nutrirle dei suoi pensieri e delle sue visioni è stato uno degli atti più naturali e fertili che mi siano capitati in questi anni di scrittura e ricerca: tutti e tre insieme, Sebastiano Alessio e io, pezzo dopo pezzo, abbiamo generato un mondo, un meraviglioso teatrino popolare con banda (fra tutte le idee di Alessio questa mi sembra folgorante e perfetta malinconica sintesi di questo mondo), dove la gioiosa e terribile morte dei pupi torna a trovare un senso con tanta emozione e poesia: lo confesso, solo lì mi sento felice.
Un ringraziamento speciale a Valerio Massimo Manfredi che, con grande fiducia e totale rispetto, mi ha permesso di utilizzare i suoi romanzi: raramente ho trovato tanta serenissima generosità.

Pensando allo spettacolo
a cura di Alessio Pizzech
Pensando a questo nuovo spettacolo molteplici sono le immagini che mi coinvolgono come regista perché tanti sono gli stimoli che una materia così viva e carica di sensi e significati mi trasmette.
Voglio quindi enucleare alcuni punti di lavoro che mi sono utili per immaginare cosa sarà questo spettacolo.
Innanzitutto: il racconto popolare di una storia che attraversa i tempi e ci parla dell’insensatezza della guerra e delle sue follie. Un uomo, reduce da una guerra senza fine approda nella sua terra. Anzi, “ritorna”. Il mito del Nostos agisce ancora, a distanza di millenni e lui, disorientato, senza più punti di riferimento, con la testa piena di immagini di sangue e orrore sente il bisogno, l’urgenza di raccontare ciò che ha vissuto, per trovare il senso di una scelta di violenza che non è stata sua. Qualcuno (gli Dei, il destino?) ha scelto per lui; da uomo di pace si è tramutato in uomo d’armi, e questa passaggio lo ha snaturato. Il reduce torna quindi, e lo fa anche per cercare le ragioni di tanta crudeltà.
Ulisse ha capito che la guerra non è una risposta, ma un labirinto in cui si è perso; il ritorno a casa lo spinge a ritrovarsi. Le immagini e i personaggi di questa storia si susseguono nelle sue parole come fantasmi, e i vari incontri che egli ha fatto, prendono forma.
Un teatro di Pupi, di Armature (ho chiesto in questo la preziosa collaborazione di un grande artista/scenografo come Antonio Panzuto) che scendono dall’alto di una graticcia teatrale posata sulla spiaggia, prendono forma con un carattere quasi di rappresentazione popolare, antica, ancestrale. Il teatro si fa racconto epico con questo cimitero fantastico di feticci, di oggetti, di teste e corpi meccanici che sono ombre di anime sepolte nella memoria del protagonista.
Gli altri interpreti sono coloro che come un coro greco, muovono questa macchina teatrale attorno a Ulisse e sono loro che danno voce e pensiero a queste icone/personaggi della storia. Il protagonista si trova in mezzo, stupito e inconsapevolmente regista di questo mondo, che affonda le radici in una sorta di rappresentazione antica come l’uomo.
La banda di un vecchio paese siciliano accompagna e celebra questo racconto con il suo suono, con il suo rumoreggiare; celebra la festa religiosa del Teatro. Sono quattordici sassofoni, quattordici voci umane che contrappuntano il racconto,
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quattordici uomini di una banda adagiata forse in uno spazio di aperta campagna o in mezzo alle onde del mare ; quattordici uomini che vanno alla guerra, quattordici uomini che salutano il ritorno, quattordici uomini che celebrano la morte, vittorie e sconfitte, apparizioni e ritorni delle figure di questo teatro antico.
Ulisse diventa pop, diventa colui che si fa portatore di un racconto e l’attore torna ad essere aedo, portatore di una storia che insegna che si fa maestra di vita; in questo senso l’antico, il contemporaneo si sposano sul palcoscenico per interagire in una dimensione che è sospesa e che rivela la magia di un teatro che si rende magnificamente semplice, comunicativo e portatore di una riflessione su quanto siamo capaci di negare di noi stessi, di quanto siamo capaci di perderci presi dall’insensatezza della violenza.
Ulisse ci dice che tornati da quell’inferno non si è più Se Stessi e che il rumore delle armi ci lascia un silenzio assordante. L’immagine del sangue e di un corpo ferito resteranno sempre nella memoria di chi ha attraversato l’orrore.
Ma nel nostro racconto il teatro si fa atto di speranza, di creazione; nel teatro finalmente i morti sono Eroi in quanto hanno un nome, portano con sé un destino che Ulisse celebra con la sua rappresentazione. Il teatro dà nome alle cose, alle anime. La storia diventa materia di trasmissione e il mito diventa strumento di insegnamento e monito per il futuro.
Affrontare così la straordinaria e immane vicenda di Ulisse, in un modo così popolare e così immediato credo sia una possibile risposta per un Teatro d’Arte. Una grande occasione per riflettere sul presente, su di un mito che sta alla radice della nostra civiltà e al tempo stesso spunto per possibili riflessioni intorno a ciò che sta accadendo sulle sponde del Mediterraneo.
Ulisse è il primo uomo occidentale che vive le contraddizioni di un tempo storico e le assume su di sé: è il primo che accetta lo scontro tra anima e pensiero e porta con sé la complessità della propria umanità. Nel suo essere “Nessuno”, c’è una sospensione, una difficoltà a definirsi che credo ci debbano sempre guidare: Ulisse cerca le domande, sta nella domanda. La risposta - forse - verrà improvvisa e fulminea, e costringerà il protagonista a essere nudo, di fronte al mistero del destino.


Prezzo biglietto singolo

 
* Posti a visibilità ridotta

Date dello spettacolo

Mercoledì 11 novembre 2015 - h. 21.00